Serpi in seno e presunti ex a metà: Antonio, Alessio e Alberto. Storie di incroci tra Roma e Lazio
Ci sono derby e derby: ce ne sono di bollenti e di tiepidi, alcuni più sentiti e altri più inquadrati nel politicamente corretto, ce ne sono alcuni in cui vola di tutto in curva e altri in cui i tifosi raggiungono lo stadio fianco a fianco senza guai che ne conseguano. E poi c'è il derby della Capitale. In questo senso non c'è solo un discorso di rivalità sportiva tra Roma e Lazio, si parlerebbe soltanto di una partita e di quel che succede in campo, ma si sfocia in questioni esistenziali, in quel che poi la gente vive nel quotidiano.
Cioè, di fatto, quando un romanista esce di casa e va a fare la spesa, porta fuori il cane, va a mangiare fuori (o quando lo fa un laziale) lo fa in maniera diversa dal suo rivale...o comunque ama pensare che sia così, in una contrapposizione che ti segue come un'ombra. Del resto è sufficiente pensare al fatto che un romanista, volendo stigmatizzare un comportamento del prossimo in qualsiasi ambito (dal più insignificante al più grave), lo farebbe dicendo "Vabbè ma che ti aspetti, quello è laziale". E viceversa. E dentro questa cornice non mancano storie di campo, storie un po' a metà tra Roma e Lazio, per quanto sia possibile.
C'è la storia di Antonio Candreva, associato spesso a un passato da tifoso della Roma (smentito esplicitamente dal diretto interessato) e capace poi di collezionare 192 presenze e 45 gol con la maglia della Lazio. Un impatto in biancoceleste e mai una possibilità in giallorosso, con la volontà anzi di prendere sempre le distanze dalle voci sul suo passato da romanista che tanti indicano come reale e non come una mera fantasia. Una posizione scomoda, guardandola da entrambe le sponde, ma comunque il timbro di un professionista inappuntabile e pronto a rispondere presente sul campo, lasciando fuori questioni di cuore reali o presunte.
C'è poi l'esperienza di Alessio Romagnoli con la Roma, società che di fatto lo ha cresciuto fino a portarlo al calcio dei big ma che, di fatto, era sua "nemica" in quanto tifoso laziale (in questo caso una fede mai smentita ma, anzi, rivendicata). Si parla di un decennio vissuto in giallorosso, non uno scherzo, e di tutta una crescita da calciatore affrontata proprio insieme ai rivali di tifo. Il rischio di essere la proverbiale serpe in seno, insomma, ma anche in questo caso - di fatto - è l'esempio di come si possa dare tanto per una causa anche se non è proprio quella del giovane tifoso che è in ognuno di noi. E in questo caso senza vergognarsi o nascondersi.
Infine c'è Alberto Aquilani, in questo caso si parla però di un bivio in cui il cuore ha avuto la meglio: poteva fare un po' l'opposto di Romagnoli, tifando Roma e crescendo a Formello, ma fin da piccolo lasciò che la fede lo guidasse e ne condizionasse la storia calcistica oltre che quella del cuore. Tre storie di professionisti, dunque, con un diverso modo di gestire il rapporto tra tifo e professione, senza perciò metterne in discussione la dignità o la ragione. Quello, del resto, è il mestiere e il compito di ogni giallorosso e di ogni laziale pronto a vivere un nuovo capitolo di questa storia...
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