Spalletti dalla gloria all'addio: è l'epilogo più coerente con la storia del tecnico?

Luciano Spalletti
Luciano Spalletti / Ciancaphoto Studio/GettyImages
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Quale spazio separa il desiderio di avviare un lungo ciclo dal rischio di un addio? La gloria è in contraddizione con la voglia di andare oltre? Si tratta di un gap ben più ristretto di quanto si possa immaginare superficialmente, di territori che si attraversano in fretta e spesso senza soluzione di continuità: quando i protagonisti hanno poi il volto di Luciano Spalletti e Aurelio De Laurentiis diventa ancor più evidente l'impossibilità di darsi per scontati, di immaginare a priori un finale già scritto.

Dalla gloria all'addio: sorpresa o epilogo naturale?

Il discorso è sia sostanziale che comunicativo: da un lato si parla di un allenatore e di un presidente spesso insofferenti rispetto al compromesso, d'altro canto il tema è quello del modo in cui i due si raccontano e raccontano la loro realtà: spesso sibillini, allusivi, pronti a giocare di strategia con l'interlocutore, a tenerlo sotto scacco rispettivamente con le armi della retorica o della provocazione.

Luciano Spalletti, Aurelio De Laurentiis, Edoardo De Laurentiis, Giuseppe Santoro
La festa per lo Scudetto / Jonathan Moscrop/GettyImages

A tal punto, insomma, da togliere certezze pur fingendo di darne: "Non sto aspettando niente, è tutto chiaro e definito", un richiamo alla chiarezza che suona surreale alle orecchie di chi - invece - brancola più che mai nel buio, cerca di trovare il bandolo della matassa e, facendolo, si sorprende.

Si tratta tante volte anche di fraintendimenti, di concetti già seminati ma colti male da chi ha modo di sentirli: "Vincere uno Scudetto a Napoli è una cosa che mi farà stare comodo per il resto della mia vita sportiva" non significava prepararsi a una comoda permanenza, insomma, alludeva invece a una personale pacificazione, a un traguardo che nessuno potrà togliere, a un idillio che durerà nel tempo a prescindere dalle circostanze.

"Per quello che riguarda ciò che devo fare io non sono necessarie le ali, ma un paio di stivali"

Luciano Spalletti

Si è già citata l'incapacità lampante di Spalletti di sentirsi effettivamente comodo, effettivamente appagato, di sedersi. In questo senso è anche la storia stessa del tecnico di Certaldo, tenendoci sul fronte delle esperienze passate, a darci una grossa mano e capire quanto la scomodità di certe scelte, il coraggio di certe posizioni, faccia parte del suo DNA e tracci un filo di coerenza (con tutto ciò che ne consegue, trattandosi spesso di scelte impopolari).

Luciano Spalletti
Spalletti alla Dacia Arena / Alessandro Sabattini/GettyImages

Quanto accaduto a Roma con Totti, una gestione complicata in un periodo più che mai delicato per un campione che sentiva avvicinare la fine della propria carriera, è del resto l'emblema di quanto Spalletti sappia farsi carico di questioni cruciali, forme persino di sacrificio, quanto sappia deviare dalla direzione più conservativa, dall'inerzia.

La panchina non è una poltrona

Al contempo, osservando quanto accaduto nel recente passato, occorre riconoscere la capacità di Spalletti di svestire i panni dell'allenatore e di indossare quelli di Luciano, non rendendo la panchina come una poltrona a cui restare aggrappato ma capendo anche altri richiami, riallacciando un filo con la propria quotidianità che non sia solo e soltanto fatta di pallone. Lo ha già fatto, insomma, e potrebbe dunque rifarlo: non occorre uno sforzo di fantasia, non occorre spingersi troppo in là.

In questo senso, poi, il richiamo della tenuta di Montaione, la possibilità di vivere un anno sabbatico (o qualcosa di più), trova nello Scudetto appena vinto un timbro ulteriore: si tratterebbe di "lasciare da vincente", di capire come un momento sportivo sia stato un apice, una magia che non si replica a comando, una di quelle ricette che vengono bene anche se gli ingredienti di base, com'è stato, facevano storcere il naso a tifosi e addetti ai lavori.

Narrazione vs realtà

Ci spostiamo infine sull'altro protagonista, non certo un comprimario ma un interlocutore che - perlomeno nel racconto mediatico che se ne fa - appare tutt'altro che morbido. Uno, insomma, come Aurelio De Laurentiis: in questo senso l'idea di parlare di Champions League come prossima frontiera, come meta verso cui orientarsi, potrebbe anche spingere un tecnico a non trovare corrispondenza tra aspettative e realtà, tra gli annunci e il richiamo della quotidianità.

SSC Napoli's footballer Viktor Osimhen awarded by the Foreign Press Association in Italy
De Laurentiis / Anadolu Agency/GettyImages

Associare il sogno Champions ai dubbi sul direttore sportivo, legarlo alla possibilità di perdere interpreti basilari dello Scudetto, può ragionevolmente spingere un tecnico a farsi da parte, a non abbracciare quello stesso "entusiasmo visionario" che tratteggia il patron azzurro. La dimensione della sorpresa dunque, pensando al probabile addio di Spalletti, può serenamente tramutarsi in coerenza rispetto a quanto emerso fin qui in carriera, può diventare un epilogo naturale, non necessariamente da leggere come uno strappo traumatico ma come una nuova tappa di una storia che, di fatto, abbiamo già avuto modo di conoscere.