Squilibrio tra nord e sud nel calcio italiano: radici profonde e riflessi attuali
Si sottolinea spesso quanto il calcio sappia farsi portatore di istanze ed aspetti extra-sportivi, aspetti socioculturali non strettamente connessi allo sport ma che - proprio nello sport - trovano una cassa di risonanza: se esiste un riflesso diretto di questa capacità lo si può individuare, sia a livello di attualità che scavando nel passato, nel profondo divario tra nord e sud, in due sistemi calcistici sostanzialmente alieni l'uno rispetto all'altro.
Sporadici segnali di rottura e di riscatto, basti pensare allo Scudetto vinto dal Napoli lo scorso anno, hanno indotto a immaginare un cambio di rotta, a intravedere i semi di uno scenario differente, ma risulta alla fine evidente come la questione sia strutturale e slegata dai singoli ed estemporanei trofei di una squadra.
Nord vs Sud: la fotografia attuale
Non è un caso, del resto, che la fine delle stagioni di Serie A e Serie B abbia espresso un verdetto ancora in linea con questi presupposti: Parma, Como e Venezia in Serie A, Salernitana, Frosinone e Sassuolo in B. Di fatto tre squadre del nord (o centro-nord) arrivano in massima serie, due realtà del sud o del centro-sud scendono di categoria, "aggravando" ulteriormente il quadro d'insieme già severo verso il meridione.
Una fotografia, quella attuale, che ci pone di fronte a una Serie A 2024/25 composta da tredici squadre del nord, quattro del centro e appena tre del sud (includendo anche il Cagliari). Un divario evidente che trova un riflesso più profondo, storicamente, nella valutazione dell'albo d'oro della Serie A e nella sua classifica perpetua: Napoli, Roma, Lazio, Fiorentina e Cagliari hanno rappresentato sporadiche eccezioni al dominio del nord calcistico e, chiaramente, del trittico composto da Juventus, Milan e Inter.
Il dominio del nord, nel corso dei decenni, ha regalato una passerella di stelle di prima grandezza passate da Torino e da Milano, ha regalato soprattutto investimenti spesso ingenti ad ampliare ancora la distanza tra i due "mondi". Non si può negare che la forma di un simile dominio sia cambiata nelle modalità, un discorso a parte lo meriterebbe cioè la natura diversa rispetto al passato delle attuali proprietà delle grandi realtà del nord (con l'eccezione della Juve) e la presenza sempre più folta (il 50% del totale) di proprietà estere in A.
Investitori stranieri e fondi d'investimento hanno sostituito, negli ultimi anni, i grandi gruppi italiani e i patron nella vecchia accezione del termine (con Moratti e Berlusconi come emblemi di riferimento). La sostanza, però, non cambia e - anzi - ci dimostra come gli investitori stranieri trovino terreno fertile anche in contesti diversi da quelli delle big, pur restando a nord: Venezia, Como e Parma - fresche di promozione - sono la dimostrazione pratica di una tendenza che, ad oggi, vede nel Palermo dell'universo City Group una delle rarissime eccezioni.
Nord vs Sud: una prospettiva storica
Tornando indietro nel tempo, appellandoci al passato remoto, possiamo scoprire come ormai un secolo fa le istituzioni calcistiche abbiano agito proprio nell'ottica di dotare le realtà del centro e del sud di società più stabili e pronte a contrastare lo strapotere del nord. Un input che si tradusse nella Carta di Viareggio, nel 1926, e nella nascita di club come Napoli, Roma e Fiorentina (al posto di realtà più frastagliate nelle grandi città del centro e del sud). Si tentò di indirizzare, dall'alto, un cambiamento della geografia calcistica italiana ma - al di là della nascita di società importanti in grandi città - non si riuscì a intaccare ciò che, strutturalmente, affliggeva le realtà sportive del sud.
Si può dunque far riferimento, in una prospettiva storica ma anche più contemporanea, alla questione meridionale che esula dal contesto sportivo ma che si riflette coerentemente su di esso: carenza di gruppi industriali di primo livello al sud, difficoltà nella realizzazione di infrastrutture, un sensibile divario economico rispetto al nord del Paese che si è tradotto nell'impossibilità di rendere sostenibile e duratura la gestione di club ad alto livello (come dimostra la quantità di società, anche di forte tradizione, arrivate al fallimento).
Non si tratta semplicemente di un riconoscere la povertà di dati contesti ma anche, e soprattutto, di riprendere ricerche condotte dalla Banca d'Italia (citate anche da Zeta.Vision) sulla presenza di "disfunzioni e prassi fuorvianti delle amministrazioni regionali e locali, e anche sedimentazioni profonde di comportamenti collettivi impropri". Vere e proprie anomalie di sistema in grado, ormai strutturalmente, di rendere più complesso investire nelle realtà del sud per farne espressioni stabili e solide di calcio ad alto livello.
Pensando al ruolo cruciale delle infrastrutture agli occhi dei nuovi investitori stranieri, nel momento in cui si avventurano nel calcio italiano, diventa automatico uno sbilanciamento verso nord e una fuga ulteriore da quelle realtà in cui progettare e costruire appare ancora più ostico, se non proibitivo, rispetto alla norma (una norma già spesso afflitta da nodi burocratici inestricabili e da logiche politiche impermeabili a interessi diversi). Una cornice chiara, sottolineata dai fatti e che non induce a immaginare traiettorie diverse per il prossimo futuro: il solco sembra destinato a farsi ancor più profondo, sempre più utopistico da colmare.