Stiamo iniziando a capire Edoardo Bove?
Nella definizione di un calciatore, finché ci si trova nella primissima fase della sua carriera e in quella fase di transizione tra giovanili e prima squadra, reclama un largo spazio un processo per certi versi creativo che conduce, inesorabilmente, a procedere per paragoni, per associazioni d'idee più o meno fondate.
In una realtà come quella giallorossa, poi, diventa più che mai naturale tracciare confronti tra attualità e recente passato, trovare un filo conduttore d'identità tra i giovani di oggi e chi - in passato - ha saputo diventare una realtà (basti pensare a capitan Pellegrini) partendo proprio dal vivaio della Roma e da un legame anche emotivo con la piazza.
Da talentino a "cane malato"
Esistono poi due binari diversi che ci hanno condotto ad approcciarsi a Edoardo Bove, due strade in apparente contraddizione tra loro che - fino a un certo punto - hanno reso anche complesso indentificare in modo chiaro "chi sia Bove", che tipo di calciatore abbiamo davanti e cosa aspettarci anche come sua crescita a livello tattico e di posizione in campo.
Da un lato, prima che trovasse continuità in prima squadra (in questa stagione in modo esponenziale rispetto alla scorsa), ci si poteva attenere a quanto fatto nelle giovanili e alle avvisaglie che in Primavera stavano emergendo: al momento del debutto, con Fonseca in panchina, si parlava già di un centrocampista moderno e versatile, capace di trovare spesso la via del gol e dell'assist, utilizzabile anche nelle vesti di trequartista oltre che da mezzala.
Un giovane di talento che doveva ancora strutturarsi fisicamente e rafforzarsi. Un profilo sommario che, come sempre in questi casi, non permetteva di fotografare in modo esatto e coerente l'identità del classe 2002, anche in prospettiva. Il tutto, poi, ha trovato un nuovo input nella definizione di José Mourinho nei confronti dello stesso Bove, uno dei "bambini" a cui il tecnico ha dato a conti fatti più fiducia e più continuità (anche in tempi recenti).
Mourinho ha parlato di "cane malato", andando dunque a rimarcare caratteristiche ben diverse da quelle citate nei primissimi tempi dell'incrocio di Bove con la realtà della prima squadra: cane malato poiché orientato alla lotta, alla corsa, alla carica agonistica nell'inseguire l'avversario e nel sacrificarsi per la squadra.
Il responso del campo: oltre le suggestioni
Ecco dunque che in due immagini apparentemente contradditorie, quella del talento leggerino e quella del calciatore affamato e generoso, si inizia a tracciare un primo profilo di Bove: appare interessante capire come, davvero, le sue doti nell'inseguire l'avversario e la sua capacità d'interdizione completino in modo fondamentale l'identikit da mezzala ideale per il 3-5-2 o di interno da 3-4-2-1, un elemento non solo orientato all'inserimento ma perfettamente integrato coi compagni di reparto.
Non si tratta soltanto di corsa fine a se stessa ma della tendenza di dare dinamismo a un reparto altrimenti statico, di correre con intelligenza per rompere il gioco altrui e per contribuire poi al rilancio dell'azione. Il tutto, poi, abbinato anche a una capacità d'inserimento fondamentale, anche nel modo che Bove ha saputo dimostrare di raccogliere rimpalli e respinte per arrivare a concludere a rete.
S'inizia dunque a oltrepassare quel limbo, quello in cui il punto interrogativo su chi sia effettivamente un calciatore continua a bussare: l'idolo De Rossi, le definizioni altrui, i primi passi in Primavera iniziano così ad apparire solo piccole parti di un mosaico più vasto, pronto a svelarsi ancor di più da qui alla fine della stagione. Un quadro che, a conti fatti, allontana dall'idea di un prestito necessario per crescere.