The secret (of Pulcinella): l'eterna lotta tra ossessione e mani sotto al tavolo
Fuori dai confini italiani, anche solo passeggiando da turisti, sarà successo a tutti di scoprire quanto la nostra identità nazionale sia connessa in modo inesorabile a quel che succede sopra al tavolo: passano pochi secondi, dalla scoperta altrui di avere a che fare con un italiano, e l'immaginario dell'interlocutore si popola in automatico di pizze, di spaghetti, di invitanti tavoli imbanditi. C'è però qualcosa che sfugge colpevolmente all'attenzione di quelli del posto: riflettere su quel che accade sotto al tavolo anziché sopra. Mai come nel caso di Euro 2020 si è manifestata plasticamente e concretamente la sfida tra l'irrazionale follia del rito apotropaico e la cieca ambizione di arrivare al traguardo facendolo sapere prima a tutti, col megafono e senza censure. In quell'ultimo rigore di Saka non si racchiudeva solo il senso sportivo di una competizione che attendeva il suo epilogo, miope pensarla esclusivamente così, ma si celava la risposta a una domanda chiave: ha senso perdersi in una rete di piccoli riti quotidiani, in un turbine di gesti ripetuti ai limiti della compulsione? La risposta è sotto gli occhi di tutti, ha la forma di una coppa che mancava da 53 anni.
The secret
Esiste una linea di pensiero, una moderna corrente filosofica, che poggia le proprie fondamenta su un assunto: gli eventi sono una rappresentazione esterna di quel che accade nel mondo interiore, più precisamente dei processi del pensiero come generatore che, di fatto, crea realtà concrete, eventi e situazioni da toccare con mano. La "legge di attrazione", in sostanza, una calamita che in base a come risuona la mente di ognuno conduce ai risultati disegnati a priori nella testa. Che il delirio inglese, privo di riguardo e di autocontrollo, derivasse da una simile concezione (o dai fiumi di birra) è comunque evidente il tentativo, come tormentone ripetuto a oltranza, di attrarre quella coppa tra le proprie mani e di richiamarla a gran voce, a suon di strattoni, di fischi, di colpi anche proibiti assestati qua e là nel corso dell'Europeo (come un bambino che ha portato il pallone e vuole giocarci da solo, a costo di portarselo a casa). Come massimo esempio di messa in pratica della corrente descritta poco fa, che la si ritenga valida o mera fuffa New Age, potremmo immaginarci un popolo che festeggia prima del fischio finale, prima del fischio iniziale, prima di arrivare allo stadio, prima ancora di toccare il primo pallone della sfida d'esordio di un Europeo. Hanno capito tutto, dunque: se tu festeggi a priori, se ti tatui sulla gamba la coppa dei tuoi desideri, è come se tu l'avessi già vinta. Oppure no?
La via italiana
Diametralmente opposto al quadro descritto c'è il pudore, c'è il silenzio di chi elabora qualcosa nella testa e sa che, di sicuro, esprimendosi ad alta voce lo farebbe volatilizzare. Ci sono frasi buttate lì, dunque, allusioni minime bloccate da un "bocca mia taci" interiore, un "bip" incorporato che spegne sul nascere ogni ipotetica proiezione. Ci sono sguardi di fuoco verso chi si spinge troppo in là, verso chi azzarda un blasfemo "ho sensazioni positive", ci sono responsabilità di un Paese intero racchiuse in quale scarpa indossi per prima, nella parte giusta del divano su cui ti siedi, nell'amico che hai a destra o a sinistra via via che il percorso va avanti. Un sistema che si autoalimenta e si rafforza col passare dei giorni e che trova una cassa di risonanza ulteriore nel gruppo azzurro, per niente immune da questo insieme di leggi non scritte ma ugualmente valide: le grigliate, le partite a padel, l'ordine di salita sul pullman (prima lo staff, con un escluso motivato), Acerbi che si siede per primo, Donnarumma che lo fa per ultimo. E il capolavoro finale: fingere di essersi scordati Gianluca Vialli a Coverciano, facendolo salire poi per ultimo come successo prima della trasferimento verso Roma in occasione di Italia-Turchia.
Ma non c'è solo quel che emerge, quel che viene raccontato, ci sono sfumature che passano tra le righe e che colpiscono ancor di più: c'è Federico Chiesa che, dopo il gol contro la Spagna in semifinale, inizia a esultare da una parte per poi fare dietrofront, memore di quanto accaduto con l'Austria sempre a Wembley, e cambiare dunque la bandierina verso cui dirigersi. Ci sono mezze parole, sorrisini beffardi e silenzi pesanti tra i giocatori intervistati, non appena il giornalista di turno si spinge troppo in là. C'è Lino Banfi che ha fatto un sogno, lo butta lì, ma guai a dirlo a voce alta o a chiare lettere.
Tra l'ossessione e lo sguardo di Jorginho
E accade dunque, come per magia, che il segreto di quella legge di attrazione passi in realtà dove non ti aspetti. Non passa dalle vie ricolme di inglesi ubriachi che gridano a petto nudo, non passa dai tifosi azzurri lasciati fuori da Wembley, dal sentire che tutto ti è dovuto, non passa dalla convinzione rumorosa di sentirsi padroni del pallone e del gioco, contro tutto e tutti. Quella legge ha trovato il verso di passare dalla testa di Giorgio Chiellini che prende Jordi Alba e lo alza cielo, come se stesse già festeggiando ma gioiosamente, senza rabbia. Ha trovato il verso di passare dallo sguardo di Jorginho prima del rigore decisivo della semifinale, quando di fatto è partito e tutti sapevano già dove sarebbe finito quel pallone. Senza rabbia e senza quell'ossessione che, poi, spegne ogni sogno.