The show must go on? Il calcio si allontana da una retorica miope
- Una gestione condivisa e più umana di un momento di crisi
- Dallo "spettacolo ad ogni costo" ci si avvicina ad un approccio diverso?
Il significato di una canzone e il suo peso storico, se non altro all'interno della carriera artistica dei Queen e di un album "testamento" come Innuendo, ha fatto sì che quel senso venisse trasferito su più settori della vita e - per ovvia associazione col titolo - del mondo dello spettacolo e dell'intrattenimento. Quante volte, insomma, ci si è trovati ad affidarsi all'inesorabile "The show must go on" all'indomani di brutte pagine, di un epilogo drammatico, di situazioni umanamente (ma anche solo sportivamente) infelici? Il senso profondo di quella pagina è stato stravolto, nel tempo, diventando una sorta di legittimazione (per inganno) rispetto a un mondo affine alla catena di montaggio, a un contesto impossibile da fermare, che non conosce rallentamento.
Guai a fermarsi: una vecchia storia
La storia del calcio, come universo a parte, ha conosciuto più tappe in cui la necessità di proseguire ha spazzato via ogni possibile riflessione ed ogni dubbio; è evidente come, in un contesto attuale segnato da un calendario fitto o perfino intasato, il richiamo dello spettacolo da mandare avanti a tutti i costi rimanga prepotente, faccia da sfondo agli eventi. Lo si è visto, ad esempio, nell'immediatezza del malore poi rivelatosi fatale per Joe Barone: all'apprensione per la salute del dirigente viola hanno fatto da contraltare, perlopiù nella giungla social, riferimenti ben più cinici alla data di recupero della sfida, agli incastri di calendario, alle esigenze sportive delle società.
La scelta in quel caso di non disputare Atalanta-Fiorentina, di rinviarla a data da destinarsi, non ha immediatamente raccolto consensi, non ha trovato un'unanime comprensione. Il tragico epilogo della vicenda, il lutto che ha colpito la Fiorentina e in primis le persone vicine a Barone, ha fatto sì che ogni verve polemica venisse logicamente spazzata via, che lasciasse spazio al silenzio come unico finale possibile. La paura che un nuovo dramma potesse colpire la Serie A ha fatto poi irruzione nel pomeriggio di ieri, si è tradotta in volti sgomenti e in minuti infiniti di attesa.
La separazione dei piani
Accanto al sospiro di sollievo emerso nelle ore successive (e ancor più oggi, con tanto di aggiornamenti tranquillizzanti) la vicenda connessa a N'Dicka colpisce per una gestione quanto più distante, ed era ora, dall'idea di uno spettacolo che "deve andare avanti" ad ogni costo. C'è stato spazio per la prudenza, c'è stato spazio per la gestione della paura, per una comprensione umana degli eventi e della loro fisiologica indifferenza rispetto ai calendari. Un approccio condiviso dalle squadre, dai tecnici di Roma e Udinese, dai rispettivi staff, così come sugli spalti.
Una situazione potenzialmente ideale rispetto alla gestione di criticità simili, con la capacità di distinguere tra il mero nodo pratico e un piano diverso, quello della volontà di proseguire. Espressione che colpisce immediatamente, che si allontana cioè dall'idea di professionista-automa, dei milioni come marchio che toglie spazio per i distinguo ed il senso critico. Tracce di crescita in un contesto spesso indicato come sterile e impermeabile, percorsi che consentono di rendere più pragmatico (se non più umano) il volto del sistema.