La Top 11 dei migliori calciatori della Champions League 2020/21
Nove anni dopo il Chelsea torna sul tetto d'Europa. Lo fa ancora dopo aver cambiato guida tecnica in corsa durante la stagione, aspetto più unicoo che raro nella storia del calcio, e lo fa ancora da sfavorito. Nel 2012 fu il Bayern Monaco a soccombere, addirittura in casa, ai calci di rigore, questa volta il Manchester City dei grandi nomi e del tecnico iper vittorioso, ma solo con una squadra. Dopo essere entrato nella storia come il primo allenatore capace di raggiungere due finali consecutive con due squadre diverse, invece, Thomas Tuchel si è scrollato di dosso l'etichetta del perdente di successo scrivendo il proprio nome tra i tecnici vincenti del trofeo più ambito. La finale non è stata spettacolare, ma ha esaltato la duttilità tattica dei Blues al cospetto di una squadra invece monocorde in particolare nelle soluzioni offensive. C'è comunque ovviamente tanto City nella Top 11 dell'edizione, a parte che in attacco, dove per scelta, o magari anche per necessità, Guardiola ha deciso di puntare su centrocampisti d'inserimento, che hanno però tradito nel momento della verità...
1. Ederson (Manchester City)
Giocarsi la prima finale di Champions nello stadio dove è stato un "nemico" per tanti anni da portiere del Benfica non gli ha portato fortuna, ma il brasiliano ha dimostrato anche nell'atto conclusivo di meritare la maglia da titolare della Nazionale. Il suo percorso stagionale in Coppa è stato esemplare, non tanto per gli appena quattro gol incassati, ma per il contributo dato da regista aggiunto della squadra, sia nel guidare un reparto per definizione sempre molto alto, a prescindere dallo schieramento a tre o a quattro, sia nel gioco con i piedi tanto caro a Guardiola. La rete decisiva nel ritorno contro il Borussia Dortmund è partita dai suoi piedi educati, la visione di gioco è da raffinato centrocampista, come dimostrato dai tre assist in campionato. Anche a Oporto manda quasi in porta Sterling in avvio. Forse non è perfetto nell'uscita sul gol decisivo, ma è stato per distacco il miglior portiere della competizione.
2. Lucas Hernandez (Bayern Monaco)
Essere il secondo difensore più costoso della storia del calcio e venire acquistato dal Bayern Monaco, non proprio un club avvezzo a realizzare affari milionari in uscita, avrebbe messo pressione anche sul più freddo e rodato dei giocatori. Nella fattispecie si parla di un ragazzo nato nel giorno di San Valentino del 1996 e che nel 2018 ha già provato la gioia più grande per un giocatore di calcio, vincere la Coppa del Mondo. La sfida successiva era vincere lo scetticismo che si respirava in Germania dimostrando che l’investimento era stato saggio. Ebbene, nella sua seconda stagione in Baviera il fratello maggiore del milanista Theo, marcando tutta la differenza rispetto al consanguineo, rispetto al quale è magari meno tecnico, ma più completo ed affidabile nelle due fasi ed in possesso della stessa forza fisica del rossonero. Una forza forse meno esplosiva, ma ugualmente utile alla propria squadra. La sua Champions League è stata di altissimo livello: dieci presenze su dieci, sempre in campo, anche nelle partite meno importanti e impegnative, sette volte da esterno sinistro, le altre da centrale di destra, fornendo sempre un rendimento molto elevato tanto nella spinta quanto nel supporto alla fase difensiva, come nella doppia sfida contro il Psg dei marziani Mbappé e Neymar, arginati in campo aperto proprio dal solo Lucas. Ci perdonerà se nella nostra Top lo impieghiamo da esterno destro, licenza permessa dalla sua duttilità. L’addio di Alaba e la fragilità fisica di Davies fanno poca paura. Anche a Julian Nagelsmann…
3. Oleksandr Zinchenko (Manchester City)
C’è una data, tra le tante, che può essere letta come quella della svolta per il cammino europeo stagionale del Manchester City. Quella del 14 aprile, giorno in cui i guardioliani hanno giocato il ritorno dei quarti di finale di Champions contro il Borussia Dortmund. Non una sfida scontata visto il risicato 2-1 dell’andata, ma in occasione di quella partita, dopo aver già cambiato tanto a livello di uomini e di tattica, Guardiola estrasse un altro coniglio dal proprio cilindro, sorprendendo tutti con la scelta di schierare a sinistra Oleg Zinchenko e non Joao Cancelo. “Tutti al Manchester sono titolari, questa è una decisione che riguarda solo questa partita”: Pep tagliò corto in questo modo di fronte alle domande dei cronisti, ben sapendo però che se l’esperimento fosse funzionato tornare indietro sarebbe stato difficile. In panchina all’andata e anche nella doppia sfida contro il Borussia, l’ucraino sfruttò al meglio la propria occasione, mettendo in pratica tutto ciò che aveva appreso in tre anni alla scuola di Guardiola, dal punto di vista tecnico, tattico e della personalità. L’alternanza con il portoghese non è certo finita quella sera, l’ex Shakhtar avrebbe poi visto dalla panchina la semifinale di andata contro il Psg, ma pur non essendo ancora una pedina insostituibile Zinchenko è diventato un elemento di estrema affidabilità, proprio la caratteristica che lo distingue dall’ex juventino. Qualità sublimate proprio nella semifinale di ritorno, con il perfetto e decisivo salvataggio su Neymar nel primo tempo, cui si è unito il tempismo negli inserimenti e l’assist per De Bruyne nel gol del vantaggio.
4. N'Golo Kanté (Chelsea)
Il coronamento di una carriera. Cinque anni fa era uno sconosciuto, adesso ha vinto tutto quello che un calciatore può sognare, a parte il campionato Europeo per nazioni, che non può che essere il prossimo obiettivo non solo perché si tratta della prossima competizione cui parteciperà. Nel 2016 si rivelò al Leicester, nel 2018 era già un campione affermato quando Deschamps ne capì l'imprescindibilità nel centrocampo della Francia campione del mondo, due anni dopo l'inopinata esclusione dalla finale di Euro 2016 contro il Portogallo. Adesso la storia lo ha ripagato, perché il trionfo in Champions è arrivato proprio in terra lusitana. Tuttavia anche se a Oporto avesse vinto il Chelsea il mediano tuttofare di Tuchel sarebbe stato un punto fermo della Top 11 della competizione alla luce di un rendimento straordinario per continuità, qualità e quantità. L'immagine del mediano settepolmoni è obiettivamente superata da quanto il francesino mette in campo in ogni partita e la finale non ha fatto eccezione. Senso tattico, pulizia negli interventi, capacità di prevedere dove finirà il pallone, generosità, ma anche qualità tanto nell'impostazione, quanto nel mandare in porta i compagni. Non perde lucidità neppure negli ultimi minuti, esaltandosi fatalmente quando c'è da mettersi in trincea per difendersi dagli (sterili) attacchi avversari.
5. Ruben Dias (Manchester City)
Per distacco il miglior difensore della competizione in stagione, anzi in assoluto a livello europeo. A 23 anni il centrale portoghese ha disputato un’annata che lo proietta al top in Europa. Perfetto per il calcio di Guardiola, l’ex Benfica, alla seconda stagione con il City, giustifica in pieno gli oltre 70 milioni investiti dal club per strapparlo a una qualificatissima concorrenza. Dopo un anno di apprendimento, quest’anno ha sfiorato la perfezione. A livello strettamente difensivo, come senso dell’anticipo, ma anche posizionamento e forza fisica, qualità emerse in particolare nel doppio confronto con il Borussia Dortmund, più sofferto del previsto, ma anche da quello tecnico, come necessario per il tipo di calcio applicato dalla squadra. Il suo quarto posto assoluto nella classifica dei giocatori che hanno effettuato più passaggi in Champions la dice lunga: e la percentuale riuscita che sfiora il 97% completa l’opera…
6. Marquinhos (Paris Saint-Germain)
La sua importanza nei meccanismi della squadra non si spiega solo con le statistiche che hanno visto il Psg sconfitto nelle due gare in cui l’ex Roma non ha giocato, nella prima della fase a gironi contro il Manchester United e poi nel ritorno dei quarti contro il Bayern. Già, perché di sconfitte ne sono arrivate altre anche nella competizione anche con la roccia brasiliana in campo, contro il Lipsia e nella doppia, fatale sfida al Manchester City. Solo fredde statistiche, perché qui si è di fronte a un capitano vero, la scelta ideale per la successione di Thiago Silva, un leader carismatico di tutto il gruppo e difensore ideale per una squadra fatalmente proiettata in avanti vista la sterminata qualità dei propri giocatori offensivi, che non si ritrova invece in mezzo al campo. Un dettaglio, quest’ultimo, non proprio marginale, se è vero che sotto la gestione Tuchel il numero 5 è stato schierato con frequenza proprio a centrocampo, senza però far mancare le proprie proverbiali qualità, personalità, senso dell’anticipo e ovviamente tecnica individuale, simboleggiata dal 90% di passaggi riusciti. Ha provato in ogni modo a trascinare il gruppo, salvando la baracca quasi da solo nel soffertissimo ritorno degli ottavi contro il Barcellona e segnando anche tre gol, due dei quali decisivi contro United e Bayern. Le occasioni per riprovarci non mancheranno.
7. Kevin De Bruyne (Manchester City)
Al termine della finale erano inevitabilmente tanti i giocatori del City in lacrime, da Sergio Agüero, all'ultima recita con la squadra, fino a Walker e Gündogan. Il destino della stella delle stelle della squadra è stato però ancora più amaro, perché il giocatore più atteso è uscito dal campo nel momento cruciale della partita a causa di un duro scontro aereo con Rüdiger, addirittura senza vedere. Una sorta di amara nemesi, che stronca i sogni di KDB di mettere le mani sul Pallone d'Oro, a meno di un exploit all'Europeo con il Belgio. La prestazione della finale è stata in linea con quella offerta dalla squadra, da vorrei, ma non posso: pericolo potenziale tra le linee, ma incapace di smarcarsi dalla guardia tattica e fisica di Kantè e anche di trovare liberi i compagni tra le linee. Nulla, però, può offuscare l'altissimo livello raggiunto in stagione, in campionato e in Champions, dal fuoriclasse di Gand, vera e propria stella polare dei Guardiola boys durante tutta la stagione, allenatore in campo, ispiratore della manovra e spesso finalizzatore. Con tre gol e quattro assist nessun centrocampista è stato più decisivo in Europa. Da applausi in particolare la prestazione offerta nella doppia semifinale contro il Psg, nella quale l’ex Wolfsburg ha sublimato la completezza del proprio bagaglio tecnico-tattico, con cambi di passo, inserimenti con e senza palla e il gran assist per la rete decisiva di Mahrez. In quell’occasione gli è mancato il gol, proprio come in finale. E per un tuttocampista che la porta avversaria la vede eccome e capace di andare a segno tre volte sulle sei partite della seconda fase, il rimpianto è grandissimo…
8. Ilkay Gündogan (Manchester City)
La sua miglior stagione in carriera, a livello globale, tra Champions e Premier League. L’adattamento alla propria filosofia di gioco di cui si è reso protagonista Pep Guardiola ha dato al tedesco ancora più responsabilità, distinguendo con chiarezza i suoi compiti tattici da quelli di De Bruyne: il belga ha funto da raccordo tra le linee, godendo di una notevole libertà tra centrocampo e attacco, mentre il tedesco si è travestito da piccolo Xavi, dando le geometrie alla squadra e dettando i tempi del gioco con la maestria di chi regista c’è nato, come testimoniato dallo sbalorditivo dato che lo vede al terzo posto tra i giocatori con più passaggi effettuati nella stagione di Champions, alle spalle dei soli maestri Kroos e Modric. Ma siccome il calcio di Pep è totale ecco che, pur avendo abbassato il proprio raggio d’azione, Gündogan ha raggiunto il proprio massimo a livello di gol realizzati, ben 17 tra tutte le competizioni, più del doppio rispetto al record precedente. Solo tre di questi, tuttavia, sono stati segnati in Champions e nessuno di questi dai quarti in poi. Una piccola imperfezione in un quadro che, ora che gli infortuni sono alle spalle, ne fa uno dei centrocampisti più forti dell’ultimo decennio.
9. Erling Haaland (Borussia Dortmund)
Atteso alla conferma dopo la stagione della rivelazione tra Salisburgo e Borussia, il ragazzo è riuscito a fare anche meglio, pur incappando in un’annata non esaltante per la squadra. Alla fine neppure lui ha saputo fare miracoli, leggi abbattere l’ostacolo chiamato Manchester City, anzi le due partite contro la squadra di Guardiola sono state forse le sue peggiori in una carriera di Champions finora bruciante, che lo ha visto battere record su record di precocità e fare per il momento meglio anche di Cristiano Ronaldo e Leo Messi, due che sono abituati ad avere più gol che partite giocate in ogni competizione, ma che all’età del norvegese d’Inghilterra non avevano numeri così maestosi. Ha chiuso l’annata con 10 gol in Coppa, gli stessi che aveva realizzato nella scorsa stagione, con lo stesso numero di partite disputate, 8. Come si dice in questi casi, confermarsi sull’eccellenza è più difficile che raggiungerla una prima volta. Una sentenza nella fase a gironi e negli ottavi, con quattro doppiette consecutive, è impossibile non pronosticargli un futuro ancora più radioso, viste le caratteristiche da attaccante completo che ha mostrato più volte. Alto, ma agile, veloce e tecnico allo stesso tempo, dannatamente potente nelle progressioni e non solo, in grado di giocare anche per i compagni oltre che, ovviamente, implacabile sotto rete, come testimoniato dallo sconvolgente dato sui tiri effettuati, appena 27 in sole 8 partite, 17 dei quali in porta (quinto assoluto alle spalle di Messi, Benzema, Neymar e Foden), cifra che fa impennare la sua percentuale realizzativa. L’ultimo passo che resta da fare è riuscire a svettare anche in una squadra piena di campionissimi. Il tempo per provarci non manca, ma la sensazione è che il test avverrà a breve…
10. Neymar Jr. (Paris Saint-Germain)
Quando, nell’estate 2017, si consumò uno dei trasferimenti più clamorosi della storia del calciomercato, in pochi avrebbero potuto immaginare che nei quattro anni successivi né l’ex squadra di O’Ney, il Barcellona, né quella che si preparava ad accoglierlo in pompa magna sarebbero o sarebbero più riuscite a vincere la Champions. Una sorta di nemesi reciproca? Chissà, ma se il ciclo dei blaugrana era destinato a concludersi anche senza la grave crisi economica che sta travolgendo il club in questi mesi, quello del Paris non è ancora partito, almeno a livello internazionale. La Champions persa nel 2020 contro il Bayern non ha rappresentato la prova generale, visto che l’anno successivo è stato fallito anche l’approdo in finale. In attesa di capire cosa ne sarà di Mbappé e del suo contratto in scadenza nel 2022, la buona notizia per Al Khelaifi è che Neymar sembra voler aspettare che maturino i tempi dell’assunzione del Psg al ruolo di potenza del calcio europeo anche a livello di titoli. E soprattutto che il suo rendimento sta migliorando. Se si guarda ai freddi numeri questa affermazione potrebbe apparire fuorviante, visto che Neymar ha segnato 6 gol nella Champions 2021, tutti nella fase a gironi. Il livello delle prestazioni offerte nei quarti di finale contro il Bayern è stato però altissimo. I tre assist da fenomeno sfornati per Mbappé e Marquinhos (numero 25 e 26 della propria carriera in Champions, nessuno ha fatto meglio negli ultimi dieci anni) sono stati la prova più evidente, venendo incastonati in una prova da marziano che gli ha permesso di tenere in scacco la pur rabberciata difesa avversaria e in generale tutta la squadra di Flick, che ha finito per paralizzarsi di fronte all’impossibilità di prevedere le giocate del brasiliano ogni volta che questi entrava in possesso di palla. Di gol ne ha sbagliati molti anche contro i tedeschi, ma se l’erede di Pelé forse non lo diventerà mai, già capire che dribbling e assist sono più importanti e funzionali di una serie di doppi passi potrebbe permettergli di contendere all’amico Mbappé l’eredità degli Altissimi Cristiano & Leo.
11. Kylian Mbappé (Paris Saint-Germain)
Da tre anni ormai quando si parla di KM si fa lo stesso discorso. Cosa chiedere di più ad un giocatore chiamato a convivere da anni con l’etichetta di fenomeno del futuro e collezionatore seriale di Champions e Palloni d’Oro, che peraltro è riuscito a conquistare il Mondiale ad appena 19 anni? Semplice. Legittimare la profezia, trascinando al successo una squadra di campioni, proprio come fatto ai tempi d’oro da Messi a Barcellona e da Cristiano Ronaldo al Real Madrid. L’assalto è andato male anche quest’anno, senza neppure arrivare alla finale. Colpe del super talento di Bondy? Difficile imputargliene troppe, in un’annata segnata anche dal cambio di allenatore e nella quale Kylian ha fatto registrare notevoli passi avanti, testimoniati da tutte le statistiche. Più gol, in campionato come in Champions e un’intesa in crescita con Neymar, ugualmente molto cresciuto dal canto proprio. Negli occhi resta la mostruosa tripletta contro il Barcellona nell’andata degli ottavi e la doppietta al Bayern nell’andata dei quarti, concentrato di tecnica in velocità e potenza, qualità che ne fanno l’erede designato e più credibile di Ronaldo il Fenomeno, per quel suo saper unire velocità e tecnica e per il gusto per i gol da bomber vero, con classe mista ad astuzia. In Champions ha realizzato 8 gol in 32 tiri, che significa trasformare in rete il 25% dei tentativi verso la porta avversaria. Troppo poco? Tutto è migliorabile e la prossima sfida sarà proprio continuare a progredire ma, prima di giudicare, meglio pensare alle difficoltà della squadra a livello di gioco e dalla necessità di dividersi il proscenio offensivo con altre super stelle…
12. Allenatore: Thomas Tuchel (Chelsea)
La storia gli ha offerto una seconda opportunità, ma forse il suo trionfo era scritto nel destino e nelle stelle, visto che il Chelsea ha conquistato due Champions su due cambiando allenatore in corsa. Due finali di Champions in nove mesi rappresentano una prima volta assoluta, come del resto lo è stato centrare due finali di fila con due squadre diverse: lo scorso agosto c'arrivò in stampelle con il Psg, con tanta fortuna nei turni precedenti, ma perdendo una finale per un'inezia contro il Bayern. Questa volta nella sua vittoria da sfavorito contro il Manchester City del maestro Pep lo zampino della fortuna non si è visto affatto, perché il tecnico bavarese ha costruito il proprio successo con un gran lavoro durato appena quattro, folli mesi. Mesi durante i quali TT ha saputo ricompattare il gruppo uscito piuttosto diviso dalla gestione Lampard, senza rinunciare a trasmettere i propri concetti tattici, tutt'altro che rinunciatari. Le doppia semifinale contro il Real Madrid ne è stata l'esemplificazione: fase difensiva molto attenta, ma anche qualità nel ribaltamento del gioco grazie a una fase d'attacco costruita con giocatori tecnici e dinamici, capaci di non dare riferimenti agli avversari. Un po' guardioliano, quindi, paradossalmente. La finale ha confermato questo canovaccio premiandolo anche nelle scelte di insistere su Havertz e Werner, brutti anatroccoli nella gestione precedente. Era predestinato ai tempi del Borussia Dortmund. Ora è riuscito a dimostrarlo.
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