La Top 11 dei migliori giocatori del ritorno delle semifinali di Champions League
Dalla SuperLega alla Champions... made in England. Primi a sfilarsi dal progetto che avrebbe rivoluzionato il calcio europeo. Del resto si sta parlando dei sei club che, tra i dodici “ribelli”, hanno meno problemi economici, forti dei proventi dei diritti tv del campionato, ma pure della cascata di milioni piovuta negli ultimi anni dalla stessa Uefa. Quella del 29 maggio a Istanbul tra Manchester City e Chelsea sarà infatti la terza finale tutta inglese della storia della Champions, dopo Chelsea-Manchester United del 2008 e Liverpool-Tottenham del 2019. Seconda, quindi, in tre anni. Come dire: che sia un torneo Super o no e più o meno elitario, i padroni del calcio stanno sempre nella terra d’Albione.
Le ultime squadre ad arrendersi sono state Psg e Real Madrid, superate da Blues e Sky Blues in maniera molto più netta rispetto a quanto dicano i risultati. Di fronte saranno due squadre diverse, ma simili, per il loro modo di interpretare la fase offensiva e due allenatori che non potrebbero essere più diversi. Da una parte chi ha fatto la storia del calcio moderno, come Pep Guardiola, che ha anche saputo aggiornare il proprio credo storico, dall’altra chi è attualmente a metà tra il sognatore e il perdente di successo come Thomas Tuchel, alla seconda finale consecutiva con due squadre diverse. I favori del pronostico sono tutti per il catalano. Per il momento, però, nella nostra Top 11 delle semifinali è 6-5 per il Chelsea. E attenzione allo scenario di Istanbul, che tre lustri fa si visse una delle finali più sconvolgenti della storia della Champions. Vinta, ovviamente, da una squadra inglese…
1. Edouard Mendy (Chelsea)
Quella del portiere senegalese ha tutto della favola calcistica. Dopo aver speso un bel pezzo di carriera tra la panchina del Marsiglia B e la seconda divisione con lo Stade de Reims, gli è bastato un anno ad alti livelli con il Rennes per cambiare vita. A Londra ha impiegato ben poco a scalzare Kepa dal ruolo di titolare così eccolo a 29 anni festeggiare da protagonista la qualificazione alla finale di Champions. Come i grandi portieri, si limita a due interventi, ma prodigiosi, nel primo tempo prima di assistere allo show dei compagni: i due voli sul connazionale Benzema sono spettacolari ed efficaci.
2. Kyle Walker (Manchester City)
Incredibile, ma vero, anche nella squadra di Guardiola c'è chi deve pensare solo a difendere. Del resto tali sono le caratteristiche di questo difensore inglese vecchio stampo, tutto esperienza e fisicità. Sulla destra, non essendo la velocità la sua arma migliore, si poteva pensare a un pericoloso mismatch con Di Maria, ma alla fine l'ex Tottenham porta a casa la serata, riuscendo a contenere i guizzi dell'argentino e anzi ad acquisire sicurezza con il passare dei minuti, pur concedendosi nel secondo tempo la leggerezza di una potenzialmente letale palla persa a favore di Neymar. Ma è un attimo, prima e dopo non fa passare nessun pallone e nessun avversario.
3. Oleksandr Zinchenko (Manchester City)
La qualificazione alla finale è un premio anche per il jolly ucraino, che Guardiola ha saputo trasformare in un giocatore di livello internazionale. Arrivato da ala, dopo essere stato anche nel mirino del Napoli, per trovare spazio in una delle squadre più forti d’Europa si è dovuto reinventare esterno difensivo. Missione compiuta al punto da diventare titolare e sfornare prove di alto livello anche in una semifinale. Contro il Psg l’ex Shakhtar è sembrato giocare da sempre in quella posizione per la sagacia tattica mostrata in fase difensiva, sublimata dal perfetto salvataggio su Neymar nel primo tempo. Il resto è il pezzo forte della casa, ovvero velocità, tecnica e tempi di inserimento, come quelli perfetti sul rinvio di Ederson nell’azione del vantaggio, cui segue un passaggio per De Bruyne degno di un trequartista consumato. E non a caso in Nazionale gioca da centrocampista…
4. Jorginho (Chelsea)
L'italo-brasiliano bissa l'ottima prova del "Di Stefano" confermandosi uno dei migliori giocatori d'Europa nel proprio ruolo e facendo sorridere anche Roberto Mancini, che gli ha affidato fin dall'inizio le chiavi del gioco della sua Giovane Italia. Più forte del cartellino giallo rimediato dopo pochi minuti disputa la solita gara da metronomo totale, abbassandosi per impostare e fornendo lanci lunghi illuminanti, ma alternando tutto questo anche con tanto lavoro in interdizione e parecchio senso tattico che gli consente di farsi sempre trovare smarcato dal compagno in difficoltà e di riuscire a intercettare palloni facendo ripartire l'azione. Riesce addirittura a crescere nel secondo tempo. Da Sarri a Tuchel, è indispensabile per ogni allenatore che impara a conoscerlo.
5. Ruben Dias (Manchester City)
La creatura guardioliana regala spettacolo dal centrocampo in su grazie alla gran tecnica dei suoi interpreti e all’imprevedibilità che il tecnico basco riesce a dare al proprio gioco, ma nulla o quasi sarebbe possibile se dietro non ci fossero delle rocce. Di nome e di fatto, perché se al Parco dei Principi aveva brillato Stones, nella gara di ritorno spicca la prova senza macchia del portoghese, che ad appena 22 anni è uno dei migliori interpreti del proprio ruolo a livello europeo. L’assenza di Mbappé non deve sminuire la sua prestazione, fatta di attenzione, fisicità, tempismo e coraggio, doti simboleggiate dal doppio salvataggio su Herrera nel primo e nel secondo tempo. Non concede un metro a Neymar seguendolo ovunque ricorrendo a pochissimi falli.
6. Antonio Rüdiger (Chelsea)
La presenza di Thiago Silva, una sicurezza ancora per molti anni su ritmi bassi, aiuta parecchio il tedesco a sviluppare il proprio gioco. La coppia è ottimamente composta, perché il brasiliano è il regista del reparto e copre le spalle al compagno, mentre il tedesco gioca tutto su fisicità, coraggio e anticipo. Inizia alla grande concedendo il minimo indispensabile ad un commovente Benzema e cancellando dal campo gli altri giocatori del Real Madrid. La mascherina sul viso gli mette forse una carica ulteriore per sprigionare tutta la sua fisicità e l'esplosività per andare a chiudere su tutti e ovunque. Sfiora anche il gol dalla distanza.
7. Kai Havertz (Chelsea)
A poche settimane dal 22° compleanno dà un senso compiuto alla sua prima stagione con il Chelsea disputando una partita come sempre altalenante, infarcita di errori evitabili, ma anche piena di colpi tecnici non banali. Solo il palo gli nega il gol, ma nel secondo tempo capisce che c'è da sporcarsi le mani e accetta di calarsi fisicamente nel clima della partita, partecipando alla fase difensiva, ma soprattutto dando un valido contributo in quella offensiva con quelle giocate di qualità che hanno spinto Abramovich a spendere quasi 80 milioni per acquistarlo dal Bayer. La sensazione è che sia più Ballack che Ozil perché più lo si avvicina alla porta, meno riesce a essere protagonista. Ma il secondo tempo col Real è un bel punto di partenza. E la finale un'occasione per affermarsi.
8. N'Golo Kanté (Chelsea)
Nella sua prestazione non c’è nulla di nuovo, certo, perché vederlo correre senza sosta per un’intera partita non è inedito. Ma riuscire a ripetere quasi in meglio la gigantesca prova del “Di Stefano” meno di una settimana più tardi e quasi alla fine della stagione è roba da fenomeni puri. Favorito dal passo cadenzato del centrocampo avversario, il campione del mondo sembra realmente… avere un gemello in campo, per come riesce ad essere ovunque nelle fasi più importanti della partita. Anzi, pensandoci bene qualcosa di nuovo nella sua prova c’è, perché proprio grazie all’evanescenza degli avversari si vede più in fase di rifinitura che in quella di interdizione, cosa che comunque non deve sorprendere perché il ragazzo ha piedi molto buoni: avvia con personalità e classe l’azione del vantaggio, si ripete per il raddoppio dell’apoteosi. Ok, sbaglia un gol, ma a quel punto sarebbe stato da 10…
9. Timo Werner (Chelsea)
Torna a segnare in Champions League dopo sei mesi, ma con tutto il rispetto la doppietta al Rennes e la rete al Krasnodar se le ricordavano solo i tifosi più attenti dei Blues. Dopo essere riuscito a sfigurare anche all’andata contro il Real, il tedescone ci mette le qualità che gli sono riconosciute, corsa e generosità, più quella capacità di dialogare con i compagni nei pressi dell’area di rigore avversaria che a Londra finora avevano visto ben poco, soffocata da tante prestazioni da vorrei, ma non posso. Con Havertz forma una coppia che è una risposta in piccolo al City di Guardiola, visto che nessuno dei due è una prima punta di ruolo: l’ex Bayer ci mette la qualità, Timo la determinazione. Alla fine il premio arriva, perché dopo un gol annullato per fuorigioco ecco la rete che orienta la serata: un tap in facile facile da rapace d’area (quale non è…), ma l’ex Lipsia ci metterebbe la firma per ripetersi a Istanbul…
10. Kevin De Bruyne (Manchester City)
Definirlo allenatore in campo è riduttivo, ma è forte il sospetto che se nel post-carriera diventerà un allenatore le sue squadre sapranno divertire e avranno il marchio di fabbrica di Guardiola, del quale è letteralmente il prolungamento. Leader silenzioso, oltre che tecnico, del gruppo, sovrasta la mediana del Psg grazie a un senso tattico con pochi eguali che gli permette di essere sempre nel vivo dell’azione e di sapere dove finirà il pallone. Quando poi l’attrezzo è tra i suoi piedi, è musica pura con cambi di gioco degni del miglior regista, accelerazioni da mezza punta e inserimenti pericolosi ma quando serve anche chiusure degne di un esemplare portatore d’acqua. Manda in porta Mahrez per il gol che sblocca la partita, assist numero della sua stagione, in Champions. Gli manca solo il gol, ma forse se lo tiene per Istanbul. Nella notte che, in attesa dell’Europeo, potrebbe avvicinarlo al Pallone d’Oro.
11. Phil Foden (Manchester City)
Se De Bruyne è l’emblema della squadra a livello di eleganza e personalità, l’inglesino classe 2000 rappresenta la vera sublimazione del calcio totale di Guardiola. Appiccicargli un ruolo è infatti un’impresa impossibile. Si accettano suggerimenti: mezzala, fantasista, incursore e ovviamente falso nove, la posizione che mister Pep sembra volergli cucire addosso in maniera più continuativa. Vietato ogni paragone con Messi, inventato dal tecnico in quella posizione, ma il gioiellino di Stockport è davvero predestinato ad una carriera da star. Prova ne sia la qualità con cui gioca una semifinale di ritorno di Champions a 21 anni da compiere in un ruolo tanto delicato. Il suo movimento lo rende immarcabile per difensori e centrocampisti avversari, che non sanno letteralmente come, quando e dove andarlo a prendere. Già magistrale e smaliziato nel giocare spalle alla porta, sa farsi valere anche tra le linee grazie a un’intelligenza tattica ragguardevole. Dà prova della potenza e della fisicità necessarie per correre quanto fa col gran bolide della distanza al quale si oppone Navas e col tiro che scheggia il palo. Completa la serata spalancando la porta a Mahrez per il gol del 2-0.
12. Allenatore: Thomas Tuchel (Chelsea)
Seconda finale consecutiva con due squadre diverse, roba da far impallidire anche Max Allegri e già prima volta assoluta nella storia della Champions. L’augurio degli spettatori neutrali è che al tecnico di vada meglio rispetto al livornese, avendo già perso lo scorso anno a un passo dalla gloria. Un anno fa arrivò alla finale in stampelle, in senso figurato e non, visto che alla frattura al piede si univa un Psg balbettante, fortunato contro l’Atalanta e non pervenuto nella finale contro il Bayern. Adesso è tutto diverso, perché il Chelsea ha guadagnato il pass per Istanbul con pieno merito e grazie a un gioco a tratti anche più convincente e spettacolare di quello dello stesso Manchester City. Ok, il Porto agli ottavi non era un super ostacolo e il Real attuale è in decadenza, ma i Blues offrono una cifra di gioco efficace e divertente, che strizza l’occhio allo stesso tempo alla tradizione (ottima fase difensiva e velocità nelle ripartenze) e alla modernità, perché in squadra ci sono tanti piedi buoni che sanno passarsi il pallone e perché non ci sono veri centravanti di ruolo. Pensare che sia riuscito a fare tutto questo in appena tre mesi ne rivaluta la carriera fin qui con luci ed ombre. Ma adesso bisogna finalizzare…
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