Tra restyling e nuove maglie: quando il guaio è la quantità (se ingiustificata)
Il dibattito legato alle scelte stilistiche dei vari club, riflettendo sia sull'immagine che una società vuol trasmettere di sé che meramente alle divise dei giocatori che scendono in campo, finisce spesso per regalare due schieramenti ben distinti: da una parte chi rivendica il dominio della tradizione, chi ricerca ossessivamente un ritorno alle origini e una semplicità d'altri tempi, d'altro canto invece si pone chi ammira l'audacia degli sponsor tecnici più coraggiosi e spinge per soluzioni sempre più avveniristiche e sorprendenti.
Esistono da una parte e dall'altra possibili controindicazioni con cui fare i conti: il culto della tradizione pone di fronte all'interrogativo sul ruolo stesso degli sponsor tecnici e della dimensione creativa, ovviamente in secondo piano in un contesto in cui ciò che è stato dev'essere replicato, mentre votarsi totalmente all'innovazione genera un ovvio distacco dal senso identitario, da quel marchio di fabbrica in cui i tifosi da sempre si riconoscono e che rappresenta in sostanza una certezza.
Dalla qualità alla quantità
Al di là degli schieramenti e delle prese di posizioni più o meno granitiche è oggettivamente vero che diversi club, anche in Italia, stanno tentando di tenere il passo coi tempi e di tenersi per quanto possibile in equilibrio tra il richiamo dei tradizionalisti e le esigenze di marketing, il bisogno di proiettarsi in un tempo diverso (e di strizzare l'occhio a target inediti o meno esplorati).
Entrando nel merito delle critiche più o meno aspre, tracciando un filo conduttore tra le varie realtà più audaci e meno conservative, ci rendiamo conto come - inevitabilmente - sia via via la qualità delle soluzioni offerte a finire nell'occhio del ciclone: righe troppo strette, troppo ampie, effetti poco graditi, pixel o pennellate che sostituiscono le strisce, loghi rivisitati a tal punto da divenire poco riconoscibili. Esistono però, in ognuna di queste soluzioni, tracce di input anche virtuosi o condivisibili, al di là del gusto personale: omaggi come quello del Napoli a Maradona, connessioni col mondo della street art, voglia di trovare un senso più profondo al binomio sport-moda.
Da Firenze a Napoli
Il discorso si deve dunque spostare su un piano differente, quello probabilmente decisivo e realmente critico: la quantità, l'abbondanza. Un nodo che percorre più di una situazione finita nel mirino delle critiche, partiamo ad esempio dall'analisi di quanto accaduto a Firenze con la presentazione del nuovo logo: una soluzione a metà tra passato e futuro, che ripercorre uno stemma già apparso sulle maglie viola, ma che del resto segue una stagione (quella tutt'ora in corso) in cui la Fiorentina ha utilizzato l'iconico giglio alabardato iscritto in un cerchio, scelta peraltro premiata a livello di vendite delle divise ufficiali.
In sostanza avremo tra stagioni 2020/21, 2021/22 e 2022/23 con tre loghi diversi sulle maglie della Fiorentina, con l'auspicio che l'alternanza non diventi un'abitudine e che la recente svolta del club di Commisso sia stabile e duratura (oltre che coerente tra maglia, profili social e immagine in senso più globale). Spostandoci sul Napoli si è già affrontata la peculiarità azzurra di questa stagione: la presenza di un gran numero di maglie, tra home, away, terza maglia, omaggio a Maradona e Flames Kit (per un totale di ben tredici divise diverse).
Una situazione troppo affine a una produzione in serie, per certi versi, che finisce per allontanare dall'idea di un prodotto di culto, di una maglia che possa davvero divenire memorabile e rappresentativa anche a lungo termine: il rischio è quello di scivolare nella deriva dell'"usa e getta" e di non conservare memoria storica delle divise, anche delle più meritevoli e insolite.
La quarta maglia di Milan e Juve
Spostiamoci a nord e nello specifico valutiamo quanto accaduto con le quarte maglie di Juventus e Milan, la seconda peraltro già vista sul campo (nella sfida tra i rossoneri e il Bologna). Il Milan ha presentato la collezione realizzata in collaborazione tra Puma e Nemen, una soluzione dichiaratamente votata allo streetwear (con l'aggiunta di giacca pre-gara e giacca performance) ma che sul campo non riesce ad esprimere con chiarezza ed efficacia il concept (come peraltro sottolineato a grandi linee da chi ha criticato la divisa sui social).
Anche in questo caso ci troviamo dunque di fronte a quattro maglie, un numero ormai consueto e tutto sommato accettabile, ma che diventa automaticamente eccessivo in presenza di una soluzione che non riesca a mettere esattamente a fuoco le proprie ragioni, una spinta di fondo che il tifoso possa far propria anche a lungo termine. Discorso per certi versi affine a quello legato ai bianconeri e alla loro quarta maglia, realizzata dall'artista brasiliano Eduardo Kobra: l'impronta dell'artista è chiara, riprendendo quella che è la sua cifra distintiva, ma il tema della "diversità" (associato appunto alla maglia) appare più un timbro apposto a tavolino che non un tema percettibile e apprezzabile agli occhi del tifoso.
Sia nel caso rossonero che in quello bianconero fa capolino il rischio di ammantare forzatamente di significati una scelta (pur lecita) di natura commerciale: anche qui si va, in sostanza, a generare quantità senza che questa sia seguita da un reale senso identitario sottostante, tale da muovere i tifosi e da incentivarli a renderle divise di culto. Niente per cui scandalizzarsi, nulla per scoprirsi conservatori a tutti i costi, ma possibili occasioni perse per lasciare realmente il segno.
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