Maldini: "Per l'Europa serve un nuovo stadio. Donnarumma e Leonardo: dico tutto"
Il dirigente del Milan Paolo Maldini, nel corso di una lunga intervista a "Sette", inserto de Il Corriere della Sera, ha parlato della sua avventura in rossonero ma anche del nuovo stadio.
"Credo e spero che possa essere così. Fa impressione, me ne rendo conto. Anche a me. Ci ha giocato mio padre, ci ho giocato io, ci gioca mio figlio. È stata la mia casa. Se la mettiamo sui ricordi, chi più di me potrebbe sentirsi ferito per un cambio così epocale? Se noi vogliamo che Milan e Inter tornino ai piani alti del calcio europeo, scrivendo pagine bellissime come quelle di San Siro, non possiamo che avere uno stadio nuovo. Le alternative non esistono. Questa non è una opinione, è una certezza. Non voglio cancellare un passato meraviglioso. Solo che a me piace guardare avanti. È un po' l'idea della mia vita".
Il ricordo più forte?
"Al di là di come è andata, la mia ultima partita, quella con la Roma. Una partita vera, che contava molto e che peraltro abbiamo perso. La vissi sulle montagne russe dell'emotività, anche nell'avvicinarmi alla gara. La contestazione? Era una minoranza, che fa sempre più rumore della massa. Io non facevo parte di quel mondo. Ho cercato di vivere la mia professione dando il massimo, pretendendo rispetto, e accettando le sconfitte, che è difficilissimo, perché si soffre tanto. Sono stato me stesso. E se vogliamo, anche grazie a quei fischi, me ne sono andato lasciando un segnale non proprio banale. Mi sentivo pronto per l'addio anche se subito dopo, mentre stavo facendo la prima vacanza in agosto degli ultimi trent'anni, sentii alla radio la notizia che il Milan cominciava il ritiro ed ebbi una sensazione di straniamento. Se loro sono là, com'è che io me ne sto qui al mare? Quell'anno tornai allo stadio per il derby e per l'ultima volta nella mia vita provai la sensazione che ha definito la mia vita da calciatore. Un misto di eccitazione, paura ed euforia, che ti prendeva sempre allo stomaco, prima di scendere in campo. Una specie di droga naturale. Forse, la cosa che mi è mancata di più".
Il ritorno al Milan da dirigente?
"All'inizio, ogni sera tornavo a casa e dicevo a mia moglie che era un disastro. Non facevo che ripetere a Leonardo, che mi aveva voluto con sé, che mi sentivo inutile. Non capivo la parte amministrativa del lavoro, mi chiedevo cosa ci stessi a fare. Io devo sentirmi protagonista. Cosa dissi a Leonardo mi comunicò il suo desiderio di tornare al PSG? Che e... dici Leo, fu la mia risposta. Con gli occhi di fuori. Mi sono sentito perso. Ma sinceramente, subito dopo ho avuto anche la sensazione di essere per la prima volta a mio agio. Ero tornato in una situazione dove non avevo nessuno che mi faceva da scudo. Quello che ho sempre cercato. A Leonardo sono molto grato, l'apprendistato con lui è stato fondamentale. Ci sentiamo spesso".
Donnarumma?
"Gigio è una bella persona, piena di emozioni. Io credo che in un mondo ideale l'unica vera motivazione di un calciatore dovrebbe essere la passione. Ma se il tuo obiettivo è quello di ottenere un riscatto sociale e denaro da dare alla tua famiglia, che ha stretto la cinghia per te negli anni della tua infanzia, beh, anche quelle sono motivazioni. Da capire e rispettare. Per raggiungere certi risultati e una certa statura come giocatore, le motivazioni sportive sono fondamentali. Può succedere che le necessità di un giocatore non si combinino con quelle di una società. C'è chi riesce ad aspettare, e chi invece ha fretta. Non sta a me giudicare certe scelte".
Il futuro?
"In quanto a questo lavoro, o lo faccio con il Milan o non lo faccio. Forse all'estero, ma sinceramente dovrei pensarci. Sono contento di avere avuto questa opportunità. Perché so che se non lo avessi fatto, avrei sempre avuto il rimpianto di non averci provato. Anche per questo, il futuro non mi fa paura".
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