L'uomo della finale di Champions: Mason Mount, il tuttocampista canterano pupillo di Lampard e consacrato da Tuchel

Mason Mount
Mason Mount / Carl Recine - Pool/Getty Images
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Il suo essere tuttocampista lo rendeva già potenzialmente uomo chiave della partita fin dalla vigilia, viste le caratteristiche del Manchester City. Quanto visto ad Oporto non ha smentito le aspettative e allora Mason Mount è stato il man of the match della notte che ha consegnato al Chelsea la seconda Coppa dei Campioni/Champions League della propria storia, oltre che il simbolo della bravura di Thomas Tuchel nello sfruttare al meglio le caratteristiche dei propri giocatori, in particolare dei giovani.

Un po’ mezzala, un po’ trequartista, il ragazzo di Portsmouth ha messo tutto questo dentro alla propria prestazione da giocatore completo, perfetto nello scompaginare i piani dei guardioliani con quel gran movimento tra le linee che non ha dato riferimenti a difensori e centrocampisti su come riuscire ad arginarlo. L’assist spaziale per il gol partita di Havertz è stata soltanto la gemma più visibile della partita di Mason, inaspettatamente utile e inesauribile anche nel lavoro sporco in supporto a Kanté e Jorginho per non far avvertire l’inferiorità numerica a centrocampo, aspetto che Tuchel aveva messo nel conto al cospetto di un allenatore che ha ribadito il proprio credo di giocare infoltendo la squadra di centrocampisti offensivi anche in zona offensiva. La tattica del tecnico catalano non ha però dato frutti in nessuna delle due fasi, perché Mendy è stato praticamente inoperoso e perché, gol a parte, i Citizens si sono fatti sorprendere troppe volte a palla scoperta e con troppo campo alle spalle, venendo graziati dagli errori di mira di centrocampisti in inserimento e attaccanti del Chelsea.

Il fatto che il migliore in campo sia stato uno dei tre inglesi in campo dall’inizio nel Chelsea e l'unico prodotto del settore giovanile insieme a Reece James è un bel segnale anche per una società che ha speso tanto in estate e un premio indiretto per Frank Lampard, che dopo averlo lanciato giovanissimo nel Derby County non ha avuto paura nel lanciarlo da titolare già nella scorsa stagione, salvo tuttavia non dargli sempre fiducia in particolare durante la fase a gironi di Champions. Si aggiunga al tutto il fatto che fin dai primi passi calcistici Mount è considerato il vero erede dell’ex allenatore dei Blues, rispetto al quale però Jason vanta caratteristiche più offensive, anche se meno senso del gol, e il quadro è quasi completo.

Quasi, perché la sua stagione è andata in crescendo proprio dopo il cambio della guardia in panchina. Sentitosi forse più responsabilizzato dopo l’esonero del proprio mentore, il gol da cineteca all’andata contro il Porto, con quel controllo orientato seguito dopo una frazione di secondo da una conclusione potentissima, precisa e imparabile, e la prestazione da centrocampista maturo in casa del Real Madrid nella semifinale di andata sono state le preparazioni ideali per la super-prova della finale. Al “Di Stefano” si è visto un giocatore avveduto sul piano tattico per come ha saputo adattarsi alla mediana a cinque, oltre che tempista e coraggioso nei tempi di inserimento. Nell’atto finale si è ripetuto, facendosi vedere meno con il pallone tra i piedi nella trequarti avversaria, ma dando tutto sul piano atletico e della personalità. La stessa che tifosi dell’Inghilterra vogliono vedere all’Europeo, nel quale il ct Gareth Southgate è pronto a dargli una maglia da titolare fisso. Magari dopo essersi consultato con Tuchel su come sfruttarne al meglio le caratteristiche…


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