Vale la pena cambiare per vedere insieme Raspadori e Osimhen? Bivio per Spalletti
Una curiosa tendenza calcistica, soprattutto in assenza di problematiche urgenti e degne di nota, prevede la ricerca apposita del caso o del dilemma shakespeariano, fondamentale del resto per tenersi attivi in una lunghissima pausa per i Mondiali di Qatar. Ed è chiaro quale sia in Serie A la realtà più serena, quella evidentemente meno avvolta da potenziali casi o da situazioni critiche: il Napoli di Luciano Spalletti guida la classifica con ampio margine, è ancora imbattuto e ha saputo soprattutto far fronte alle difficoltà (addii pesanti, infortuni) puntando sulla forza del gruppo e sul grande impatto dei nuovi arrivati.
Tra questi figura anche Giacomo Raspadori, capace soprattutto in Champions League di fare la differenza e autore fin qui di 4 gol nella principale competizione europea. Al di là dell'impatto del classe 2000, Spalletti è riuscito a dare continuità al rendimento offensivo della squadra, anche nei frangenti in cui è mancato Osimhen: Simeone ha risposto presente quando è stato chiamato in causa e, ancor di più, non sono mancati il contributo degli esterni offensivi (Kvaratskhelia come principale fattore) e il solito grande apporto in zona gol delle mezzali, con Zielinski sempre minaccioso coi suoi inserimenti e con Elmas (a dire il vero utilizzato anche come esterno d'attacco).
Una costante del percorso dei partenopei fin qui è rappresentato dal 4-3-3 come assetto, al netto poi degli accorgimenti a partita in corso: solo nel pari interno contro il Lecce, unica battuta d'arresto fin qui, Spalletti ha optato per una soluzione diversa, il 4-2-3-1. Proprio in quella circostanza il Napoli ha puntato su Raspadori e Osimhen insieme in campo, il primo alle spalle del secondo: una convivenza percorsa poi soltanto contro l'Empoli, con l'ex Sassuolo utilizzato però come attaccante esterno anziché sulla trequarti.
Vale la pena cambiare?
L'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport spiega come Spalletti abbia intenzione di lavorare proprio sulla convivenza tra i suoi due attaccanti, volendo puntare più spesso su Raspadori dal primo minuto. Varrà la pena, dunque, rimescolare le carte e andare a toccare un meccanismo perfettamente oliato? Difficile immaginarlo, pensando soprattutto a quella macchina fin qui perfetta rappresentata dal centrocampo azzurro, il cuore pulsante della squadra che fa dell'equilibrio (e della complementarità) il proprio cardine ineludibile e il proprio "segreto".
Passare al 4-2-3-1 e utilizzare dunque Raspadori a supporto di Osimhen vedrebbe per forza di cose Zielinski come sacrificato, andando ad alterare ciò che fin qui ha funzionato in modo eccellente. Diventa chiaro come, a partita in corso o in caso di defezioni cruciali, un simile accorgimento possa anche essere valido e utile ma, di partenza, risulta complesso aspettarsi uno sforzo eccesivo per trovare quella quadratura del cerchio: Raspadori, insomma, potrà continuare a dire la sua anche come alternativa a Osimhen o come attaccante esterno, senza cercare "rivoluzioni" fini a sé stesse.