Via al cantiere del Viola Park, il primo albero per la famiglia della Fiorentina
Quando un tema rimane "attuale" per interi decenni si sviluppano diverse reazioni: un po' come aspettare Godot, il ricorrere di un argomento diventa tormentone e finisce persino per nauseare, per diventare superfluo, entra ed esce dalle orecchie di chi ascolta. Del resto ci sono rimandi lontani, gli anni '90 e Cecchi Gori, i primi tempi dei Della Valle coi terreni di Incisa, persino tentativi negli anni '70 sotto la guida Baglini-Ugolini.
Sono passate le stagioni, con viaggi europei e discese sui campi della Serie C, e il ritornello si è riproposto con nome e forme diverse: sembrava scontato che la Fiorentina fosse destinata solo a sognare un Centro Sportivo, senza mai vederlo realizzare. Eppure, proprio oggi, a Bagno a Ripoli si pongono le prime basi per il Viola Park: via ai lavori, dunque, e realizzazione che - stando a quanto afferma l'architetto Marco Casamonti - dovrebbe richiedere 18 mesi di tempo. Alla presenza del presidente Rocco Commisso, del dg Joe Barone, dell'architetto Casamonti e del sindaco di Bagno a Ripoli si è dunque alzato il sipario sul cantiere, sul progetto così significativo per i piani della Fiorentina e per la costruzione di un'identità ancor più solida, un luogo fisico in cui la prima squadra maschile, quella femminile e le giovanili potranno allenarsi fianco a fianco, un luogo che faccia anche da sede e da simbolo del club.
Un progetto costato 85 milioni di euro a Commisso, con ostacoli importanti che a tratti sembravano persino mettere a repentaglio l'intera idea, un progetto che prevede dieci campi da gioco, due mini-stadi e un grande padiglione con capienza di 400 persone. L'idea è quella di integrare la natura prettamente sportiva del luogo con l'aspetto paesaggistico, con un occhio di riguardo alla sostenibilità e alla possibilità di inglobare i punti di forza del territorio senza stravolgerli: anche in questo senso il ruolo della Sovrintendenza ha fatto sì i piani si modificassero in corso d'opera. Simbolico, del resto, il fatto che al posto della consueta "prima pietra" sia stato piantato un primo albero, un ulivo.
E come in tutti i tormentoni che si rispettino, quelli che sembrano non avere una fine, quando si arriva a qualcosa di concreto si sperimenta un misto di soddisfazione e di incredulità: come se, a forza di raccontarla, una storia diventasse solo una leggenda e nulla di vero. La realtà stavolta ha raccontato una vicenda diversa, il seme necessario per la crescita di un club, nell'attesa di poterselo godere tutti insieme. Commisso ha rivolto più di un pensiero agli intoppi burocratici per il piano del nuovo stadio, tradendo prudenza se non pessimismo, ha rivolto anche qualche parola amara a una certa stampa che - a suo dire - si concederebbe critiche fin troppo personali e infondate. Al di là delle parole e delle note velenose, però, il 5 febbraio 2021 è destinato in qualche modo a restare nella storia del club, quella che rimane.
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